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ARALDO DE LUCA

OPERE D'ARTE

CAMPAGNE FOTOGRAFICHE







Esercito di terracotta, Xian (Cina)

Fotografo da molti anni opere d'arte, quadri, statue, gioielli, siti archeologici meta di pellegrinaggi turistici o sconosciuti. Campagne fotografiche estenuanti ma appaganti. Dopo i giorni dell'Egitto pensavo di aver sfiorato il culmine dell'esperienza di fusione con l'opera, quella sublime sensazione di sintonia con l'oggetto fotografato che dona vita all'immagine riprodotta. Poi la telefonata che mi porta a Lintong, in Cina. Devo fotografare l'Esercito di Terracotta, ancora una volta devo confondermi con i secoli, ma ora è diverso. Un'altra cultura, altre forme e sensazioni. Mi accompagna Guido il mio assistente, e quando giungiamo al sito, dopo un viaggio estenuante e 15 giorni di attesa alla dogana con un carico di 23 casse di materiale fotografico, siamo pieni di aspettative. Ci accoglie un immenso hagar che potrebbe contenere due jumbo e una volta all'interno, lo spettacolo è mozzafiato: una voragine nella terra si apre attorno a una moltitudine di soldati come se li avesse inghiottiti, così disposti in file parallele. La potenza della rappresentazione si gioca sulla perfetta verosimiglianza, la statua che vive, incute timore, induce alla venerazione. Il potere delle immagini, a cui in qualche modo sono avvezzo, qui è davvero grande. Siamo intimoriti di fronte a questo immenso esercito di 6000 arcieri, fanti e cavalieri. Scendo fra loro, mi muovo cauto fra i corpi e ho quasi paura che si possano risvegliare e muovere battaglia. Sono imponenti e ciascuno rivela un proprio carattere. Scruto i visi in cerca di un taglio fotografico che mi permetta di catturare le linee degli occhi, l'espressione immota, le imperfezioni realistiche. I canoni formali di equilibrio e simmetria, così come sono pensati dall'arte antica al Cairo come a Roma e ai quali il mio vedere fotografico è avvezzo, qui non esistono. Lintong è una sfida con me stesso, un modo per ripensare luci, distanze, colori, il fotografare stesso. E il termine sfida ricorre sovente quando ripenso al caldo implacabile patito negli scavi per fotografare le armature in pietra ancora in sito, migliaia di tessere in pietra parzialmente dissotterrate, collocate in fosse profonde 7 metri. La temperatura era di 50 gradi centigradi con un tasso di umidità del 100% e le attrezzature tanto infuocate che non si potevano toccare. E ancora i carri in bronzo del Museo, chiusi da vetrate antiproiettile inamovibili e riflettenti. Per poter superare quella barriera sono occorse almeno 10 sorgenti luminose, appositamente schermate. Ho catturato mille immagini; mani strette attorno ad armi invisibili, corpi contratti pronti a scattare a un silenzioso comando, lo sfavillio delle armi, i finimenti squisitamente lavorati, gli oggetti personali meticolosamente riprodotti. Ancora una volta ho assistito al mistero della morte nel mondo antico, la rappresentazione della vita in un'altra vita, il tentativo di preservare il prestigio e rafforzare la memoria. Sono un fotografo di opere d'arte e anche a questo sono avvezzo. Questa volta però il fascino di Lintong è stato immenso, quasi quanto il suo esercito sepolto.
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